Direttissima al Piz Badile

Dick Isherwood


Il racconto della prima salita della via degli Inglesi alla parete Est del Pizzo Badile, pubblicato sull'Alpine Journal nel 1969

 
 

Di notte il cielo si rischiarò e la mattina era bella. Giungemmo al passo [Colle del Cengalo] attraverso un facile pendio di neve e quando guardammo giù nel canalone ci sembrò di essere stati molto furbi. Era assai ripido, ma, evidentemente, l'inizio della linea di fessure non distava più di 150 metri. Scendemmo uno alla volta, scalciando ampi gradini nella neve dura. Dopo 300 metri scoprimmo di aver preso la cosa un po' alla leggera, tanto che solo dopo 450 metri di discesa e una faticata di due ore giungemmo all'attacco. Erano le 9 meno un quarto. Ma eravamo in piena estate, quindi speravamo di cavarcela senza bivacco.

Mike affrontò Il primo tiro, una fessura ripida e larga. Ebbe assai da tribolare e dovette piantare qualche chiodo - ma la scoperta di un vecchio chiodo ad anello ci rassicuro'. Quando venne il mio turno ero molto infreddolito, e la roccia era bagnata. Una serie di scaglie incastrate in modo strano resse al passaggio di entrambi, ma un piccolo blocco che staccai più in alto, le fece tutte cadere rumorosamente nel canalone. Le mani erano intorpidite, l'arrampicata dura. Afferrai il vecchio chiodo e per un pelo non rimasi appeso alla corda: Mike non mi aveva detto di averlo tirato fuori e ficcato in un cuscino di muschio. Salii alla sosta lottando e mi chiesi per quanti giorni il tempo sarebbe rimasto sereno.

Mike affrontò Il primo tiro, una fessura ripida e larga. Ebbe assai da tribolare e dovette piantare qualche chiodo - ma la scoperta di un vecchio chiodo ad anello ci rassicuro'. Quando venne il mio turno ero molto infreddolito, e la roccia era bagnata. Una serie di scaglie incastrate in modo strano resse al passaggio di entrambi, ma un piccolo blocco che staccai più in alto, le fece tutte cadere rumorosamente nel canalone. Le mani erano intorpidite, l'arrampicata dura. Afferrai il vecchio chiodo e per un pelo non rimasi appeso alla corda: Mike non mi aveva detto di averlo tirato fuori e ficcato in un cuscino di muschio. Salii alla sosta lottando e mi chiesi per quanti giorni il tempo sarebbe rimasto sereno.

Mangiammo un pò di cioccolato e immaginammo una grande spaghettata per la sera. L'una e mezza: toccava a me andare da primo. Adesso i chiodi si rivelavano un carico utile e che piacere usarli, dopo averli portati tanto a lungo. Riuscimmo a superare in libera una parte del tiro e usammo qualche nut per risparmiare tempo e forza. Non trovai cenge e feci una sosta su staffe, da dove Mike riprese il comando. Stranamente il tetto non sembrava più vicino. Dopo 30 metri su chiodi piuttosto precari, si fermò alla base del diedro. Sopra di lui c'era una grande lama che sembrava sospesa nella fessura. Per un paio di minuti riflettemmo sulla possibilità di un pendolo in una delle altre fessure - ma anche quelle apparivano friabili e senza appoggi. Lo raggiunsi, impressionato dall'instabilità di una parte dei chiodi e dalla generale friabilità della roccia ove Mike aveva attrezzato la sosta, ma fui lieto che Mike avesse paragonato quel tiro ad un A3 in Yosemite. Con molta prudenza mi avvicinai alla grande lama. Da vicino potei vedere che essa faceva parte di un masso veramente enorme - metà parete - e che non c'era pericolo. Era una formazione rimarchevole, una lingua di roccia, larga più di 1 metro. spessa circa 30 centimetri al centro, e alta 5 metri, che sporgeva nel diedro mentre, dietro, per tutta la sua lunghezza, si intravvedeva la luce del giorno. Mi issai su con un ristabilimento e proseguii. Purtroppo io fondo al diedro non c'era il camino che avevamo sperato, e neanche una fessura a incastro per le mani, quindi si andò avanti a forza di chiodi, Integrati da qualche nut. Un'altra sosta su staffe, ma il tetto sembrava più vicino - 12 metri, suggerii a Mike. Almeno 24 m, stimò lui mentre la luce del giorno cominciava a scarseggiare. Mike salì 40 metri alla migliore velocità californiana, ma ancora non ci era arrivato. Trovò un ripiano, il primo dal pranzo, e propose di bivacure lì. «È grande abbastanza per cucinare?» chiesi, «Aspetta a vederlo.»

Speravo sempre di uscire sulla spalla della parete, ma il buio mi raggiunse alla metà del tiro. in un certo senso fu un sollievo - la tensione calò, sapemmo di dover bivaccare qui - e subito mi sentii veramente stanco, lasciai tre costosi chiodi in parete, i primi che abbandonammo, e Mike mi tirò di peso sul ripiano che sembrava fatto di argilla bagnata. Era già buio, ma Mike aveva ispezionato il terreno. C'era una lunga fessura-lama che si spingeva con rassicurante profondità nella montagna, e ci piantammo subito diversi chiodi. Il «ripiano» fu inutile, perché troppo stretto per due, e il tetto sgocciolava in continuazione. Restammo in piedi, in parte su un minuscolo listello sfuggente sotto la lama, ma, principalmente, sulle staffe. Lottai con il sonno, ma il divertimento era appena iniziato.

Indossammo le giacche di piumino, il passamontagna e i guanti, ma i mutandoni sembrarono fuori discussione. Poi decidemmo di spostarci piu' in là lungo la lama, poiché Mike si trovava sotto un grosso sgocciolamento. Piantai un altro chiodo e suonò tanto bene che ci trasferii tutte e due le staffe. Risistemammo le protezioni, appendemmo una pentola sotto il filo d'acqua più consistente e ci ritirammo sotto il sacco da bivacco. Pochi minuti dopo avvertimmo una grande sete e guardammo fuori quanta acqua avessimo raccolto. Sfortunatamente togliemmo il sacco contemporaneamente e così questo sparì nella notte, scivolando lungo la parete bagnata. Improvvisamente fece freddo. Ci guardammo, bevemmo l'acqua e tentammo di dormire. Sebbene la posizione fosse Scomodissima, ero così stanco che mi addormentai. Mi svegliai cadendo: il chiodo «buono» era venuto fuori. Non sollecitai la sosta, perché, dopo essere scivolato per meno di un metro, fui fermato, principalmente dalla mano di Mike che mi prese per la collottola, ma anche, lo giuro, dalla mia forza di volontà. Piantammo altri chiodi, raddoppiammo gli ancoraggi e tentammo di nuovo. Non ci furono piu' inconvenienti, ma il mattino impiegò molto tempo per arrivare. Dormii un po'. ma le mie gambe, a stretto contatto con la roccia bagnata, erano gelide. Mike fu meno fortunato; la sua giacca a vento era meno impermeabile, era ancora sotto un bel rigagnolo e non aveva chiuso occhio. Alla prima luce cominciammo ad organizzarci, ma ci volle più di un'ora prima che potessimo partire. Per un terribile istante ci trovammo, tutti e due, appesi ad un solo chiodo che, per giunta, non era neanche completamente infisso, ma presto giunsi sotto il tetto. Penzolare appeso a chiodi piantati dal basso verso l'alto non è il mio forte, perciò con gran timore passai la corda in tutti gli ancoraggi. Me ne pentii quando, girato lo spigolo affilato del tetto, mi trovai bloccato in una posizione spettacolare, a 5 metri da una larga cengia. Dovetti slegarmi da una corda e ebbi lo stesso bisogno di tutte le mie forze per tirare l'altra. Quando Milze giunse alla sosta, vedemmo che una delle due corde era in parte danneggiata - sarebbe diventata una salita costosa. Mike condusse gli ultimi 5 metri fino alla spalla. Ci togliemmo i piumini bagnati, ci sdraiammo al sole e godemmo un mondo quasi orizzontale.

Due grandi tazze ricavate da una macchia di neve consumarono il tè e lo zucchero, e malvolentieri riprendemmo ad arrampicare. Sulla spalla trovammo un tiro difficile con una placca delicata che ci portò ad un nevaio ripido e bagnato. Il resto dell'arrampicata fu facile. Lontano, in basso, vedemmo una cordata sulla via «Cassin», mentre stava per giungere al nevaio centrale. La discesa fu rapida sebbene le nostre mani, rimaste bagnate tutta la notte, presero a farci molto male. Quando arrivammo al rifugio incontrammo Richard e Chris Wood che il giorno precedente avevano fatto lo spigolo Nord. Ci dissero che avevamo aperto una nuova via - sospettavamo qualcosa del genere non avendo più visto tracce di Corti dopo i primi tiri. Fiorelli era occupato con la ricetrasmittente e capimmo, da qualche mezza frase, che stava parlando di noi. La mattina era stato sul Cengalo vedendoci finire la salita. Sulla foto migliore in suo possesso, ci mostrò che la via Corti aveva lo stesso attacco, ma in basso deviava presto a sinistra per raggiungere un sistema di fessure distante un centinaio di metri. La ragione di ciò non ci fu chiara - forse Corti e Battaglia furono dissuasi dal tiro nel camino friabile. Pagammo il conto e partimmo a valle dove, così sembrava, tutto il mondo ci aspettava. Eravamo ben contenti di non dover affrontare il Passo di Bondo e grati ai costruttori dell'eccellente sentiero del rifugio Giannetti. Quando arrivammo a valle non c'era alcuna batteria di microfoni e di telecamere come ci avevamo fatto credere, ci rese onore solo il corrispondente locale de il Giorno. Potemmo fare il bagno liberamente ai Bagni di Masino, dove l'acqua, apparentemente, non è solo terapeutica, ma anche radioattiva, e pranzammo in grande stile, ospiti della direzione. Prima di mangiare ci fecero vedere un modello in gesso di una montagna, riconoscibile come Pizzo Badile solo grazie all'etichetta che lo diceva. Ci pregarono di segnare il tracciato con una linea punteggiata come avevano fatto gli altri. Non c'erano strutture riconoscibili, e perciò disegnammo una linea diritta a metà tra la via Corti e la via «Cassin», Il piccolo gruppo che si era riunito, ne fu evidentemente molto impressionato, e poi qualcuno pronunciò la parola magica: «Direttissima». Andammo a tavola molto contenti di noi stessi.

Alpine Journal, 1969

Il gradino dove bivaccarono gli inglesi nel 1968