Emozioni in Marmolada

Punta Rocca - via Vinatzer
Giulio e Lorenzo, 27 agosto 2003


 
 

Giulio e io siamo vecchi amici, ci conosciamo dai tempi del liceo. Giulio si sposa a fine anno ed è diventata tradizione festeggiare l’evento con una memorabile impresa alpinistica. Più che altro un pretesto per farci qualche giorno di arrampicata soli soletti, senza mogli e fidanzate al seguito, proprio come ai vecchi tempi.

Decidiamo che andremo in Dolomiti su una grande parete: la Sud della Marmolada, un compatto scudo di argenteo calcare alto ottocento metri. Scegliamo come nostro obiettivo la via Vinatzer con variante Messner: a detta dei ripetitori sembra una delle combinazioni più belle restando su difficoltà classiche.

Siamo alla fine dell’estate e la forma non è proprio delle migliori: a fine primavera arrampicavamo molto, poi il caldo estivo ha stroncato la nostra attività in falesia ed in montagna abbiamo fatto un paio di vie in Dolomiti e qualche via moderna. Veniamo inoltre da due settimane di vacanze spagnole di trekking-turismo sui Pirenei, quindi in sostanza nell’ultimo mese abbiamo arrampicato solo una volta in Brenta. In ogni caso la Marmolada è diventata il tormentone dei nostri discorsi e ormai mogli, fidanzate e amici sono esausti e non vedono l’ora di vederci partire per non sentirne più parlare.

Siamo fortunati con il meteo che ci concede una finestra di alta pressione da lunedì a giovedì mattina, quindi impostiamo il piano seguente: partenza lunedì e pernotto in tenda sotto il Piz Ciavazes, martedì mattina una via breve, ma abbastanza impegnativa sulle torri del Sella per testare le nostre condizioni psico-fisiche e poi salita in serata al rifugio Falier sotto la parete Sud. Mercoledì avremo l’intera giornata a disposizione per la Marmolada ed è nostra intenzione bivaccare in vetta presso la stazione di arrivo della funivia, con cui poi scenderemo il giorno dopo (l’ultima corsa in discesa è alle 16.20).

Il piano si rivela perfetto e dopo esserci divertiti non poco sulla via Messner alla seconda torre ci ritroviamo al rifugio, dove la “sciura” ci rimpinza con pastaciutta, polenta, braciola, funghi, insalata di pomodori e dolce a nostra scelta! Passiamo la serata a chiaccherare con le altre cordate. Una coppia di Firenze farà la “Don Quixote” e sta studiando l’attacco, due bresciani saranno su “Tempi moderni”, poi ci sono due coppie di sloveni che si divideranno in una cordata maschile e una femminile: i ragazzi faranno la Vinatzer-Messner, le ragazze la “Don Quixote” con i toscani. Tutti condividono le proprie intenzioni, la speranza di arrivare in vetta in tempo per prendere la funivia e le incertezze sulla discesa: “... ma avete i ramponi ? ... qualcuno ha già fatto la discesa ? ... no no all’attacco ci arrivi comodo c’è un bel sentiero, poi dal grande masso vai a destra... portatevi molto da bere... buona notte ... notte”. “Buonanotte Giulio”. “Ronf...”.

La colazione viene servita dalla “sciura” che si alza a qualsiasi ora in base alle esigenze degli alpinisti, qui mica ti lasciano solo al mattino con quei tristi termos e tutti compiliamo il taccuino con i dati essenziali: nome, cognome, ascensione. Alle cinque e mezza siamo tutti fuori e la shilouette della parete Nord-Ovest della Civetta all’alba ci accompagna nell’avvicinamento: cielo completamente sereno, resterà così per tutto il giorno. Sul sentiero ci raggiungono e ci superano gli sloveni, che salgono come treni. Noi procediamo con calma ancora un po’ assonnati. Ci ritroviamo all’attacco e non ci sono dubbi che partiranno loro: sono molto determinati e dal colore sbiadito delle loro corde si capisce che sono due che “viaggiano”. Inoltre hanno un solo zaino in due e procedono velocissimi sui primi freddi camini di V+. Non sono ancora scoccate le sette.

Parto anche io sul primo tiro, che mi dà subito del filo da torcere: c’è un chiodo poi un passo non facile, alzo il piede sinistro mi tiro su, ma lo zaino mi si incastra. Ridiscendo e riprendo fiato, ci riprovo ma la scena si ripete: ho fatto quindici metri e già odio ‘sto stramaledetto zaino. D’altronde ho dentro giacca a vento, una giacca leggera di piumino per passare la notte su a tremila, un pacchetto di biscotti, due litri di liquidi, martello e qualche chiodo per le emergenze e le scarpe da ginnastica, mi sembra il minimo. Comunque alla fine passo, anche se ho già la punta delle dita insensibile, e procedo sul resto del tiro, un bel quinto grado su camino strapiombante. Giulio mi raggiunge e procede sul tiro successivo, di difficoltà analoghe e faticosamente arriva in sosta, incastrato tra le tetre pareti del camino. Mentre sale penso che alternarci al comando sia un grande sollievo. Sotto di me una cordata di tedeschi spuntata da non so dove attacca il primo difficile tiro, il venticello del mattino mi porta su qualche parolaccia bisbigliata in madre lingua.

Arrivo anche io alla seconda sosta e riparto, quando accade l’imponderabile. Giulio si è slacciato le scarpe per far riprendere la circolazione alle dita, si assesta per farmi sicura più comodo e una scarpetta gli si sfila dal piede, cade e si ferma sulla matassa di corda sotto di lui, in bilico al limite del precipizio sottostante dei primi settanta metri saliti. La guardiamo increduli e non fiatiamo per paura di farla andar giù con un minimo movimento; se dovesse cadere non sono certo che avremmo la forza morale di rifare i primi due tiri. Ridiscendo lentamente sotto di lui e recupero la scarpetta, poi ci facciamo una risata. Completo il tiro facile, ma friabile e ci ritroviamo ad una sosta comoda finalmente al sole con i bei diedri centrali sopra di noi: stiamo ingranando, ma di certo non siamo velocissimi. Gli sloveni sopra di noi si sono volatilizzati, i tedeschi sotto si ritirano dopo il primo tiro...

Ci spogliamo: resteremo in maglietta tutto il giorno senza mai sudare, la giornata è perfetta. Finalmente arrampichiamo sul solido calcare grigio della parte centrale, sempre molto impegnativa e atletica. Giulio si sciroppa il sesto tiro, un diedro di cinquanta metri di V+ e VI veramente fantastico. Sommato con il tiro sottostante che ha fatto da secondo si è sobbarcato ottantacinque metri di V+ e VI sostenuto e lo trovo bello provato. Procediamo ed usciamo dalla prima sezione della via, quella più atletica dei primi sette tiri. Ora la roccia si appoggia leggermente e ci sarà qualche tiro di IV a spezzare la continuità; in ogni caso ci mancano ancora nove tiri per arrivare alla cengia mediana che attraversa l’intera parete Sud. Guardo l’orologio e come temevo sono già le undici. In alto vedo la forte cordata bresciana già quasi in cengia sulle stupende placche di “Tempi moderni”.

Procediamo un po’ più velocemente ed arriviamo alla base dei camini che portano alla cengia. Qui la relazione è un po’ ambigua: c’è un tiro di IV in stretto camino, ma dobbiamo salire il camino sopra la nostra testa o quello a sinistra con quel macigno giallo incastrato ? Siamo titubanti, riguardiamo lo schizzo e le foto, alla fine Giulio parte sul camino di destra, supera un passaggio non banale, poi trova un chiodo, procede, ma il camino diventa più duro del previsto, insomma non sembra proprio un quarto... poi vede alla sua sinistra un chiodo con moschettone, segno di una ritirata. Si fa calare ed è di nuovo in sosta, molto stanco. Gli chiedo se vuole che riparta io sul camino di sinistra, così lui può tirare il fiato: accetta. A questo punto riparto: sono un po’ turbato perché stiamo perdendo tempo prezioso su un tratto dove pensavo di passare via veloce e questo fatto mi toglie pericolosamente la concentrazione dall’arrampicata. L’esperienza dovrebbe accendermi una lampadina, ma ciò non accade: lo stupido morbo della fretta mi ha intaccato e non so come diavolo succede, ma mi scivola un piede: non è uno scherzo, sto proprio cadendo. Avevo appena piazzato un friend a prova di bomba e istintivamente prendo al volo il rinvio e resto lì appeso al braccio sinistro. Avrò fatto un metro e mezzo di volo, il mignolo sinistro è rimasto compresso, ma in sostanza non mi sono fatto nulla ed inizio ad autoinsultarmi mentalmente. Scuoto la testa, guardo Giulio e gli dico: “Troppo precipitoso”. Lui mi dice: “Calma, vai con calma”. Riparto e un metro più a destra c’era una fessura che consentiva di passare agevolmente, il grado del passaggio sarà III+, salgo continuando a darmi mentalmente del pirla. A questo punto aggiro il masso incastrato con un passaggio atletico che mi sembra duretto per essere un quarto e rientro nell’ennesimo stretto camino, dall’aria ostica. Sarà che sono un po’ agitato, ma, ripeto, mi sembra duro come quarto e oltretutto ci sono due chiodi vicini. “Dai Lorenz, arrampica come sai e non ci sono problemi”, mi dico. Salgo in opposizione e passo il primo chiodo, poi il secondo; è uno di quei camini che ti porta ad uscire sempre più verso l’esterno in spaccata e mi trovo quindi in piena esposizione ormai già ben sopra il secondo chiodo; se cado qui ritorno giù al masso incastrato. Riesco a contenere i sintomi di panico entro limiti accettabili ed esco dal maledetto camino: lo stupido voletto di prima mi ha lasciato una bella agitazione addosso. Giulio sale da secondo e mi chiede di tenere ben teso...

Segue un tiro in placca di V che Giulio supera un po’ agitato, ma senza grossi problemi. Mentre gli faccio sicura, respiro a fondo e cerco di rilassarmi: non devo pensare al tiro precedente, è acqua passata, pensa solo ad arrampicare bene. Quando parto mi concentro come se fossi da primo, controllo ogni movimento e riacquisto piano piano fiducia; arrivo in sosta e mi attende l’ultimo ostacolo prima della cengia, la relazione parla di un camino slavato di cinquanta metri di V+. Parto senza indugi, adesso sono carico, arrampico bene e mi sforzo di non toccare i chodi, devo passare bene in libera in modo da riacquisire tranquillità. Ce la faccio ed esco soddisfatto: sto ricominciando a godermi l’arrampicata e l’episodio di prima è considerato chiuso. Giulio arriva su veramente cotto: ha tirato vari chiodi ed è visibilmente stanco, soprattutto psicologicamente. Con un lungo tiro arrivo finalmente alla cengia mediana: ci sono varie piazzuole da bivacco con tolle di latta arrugginite abbandonate chissà quando. Penso a Vinatzer e Castiglioni che hanno superato questa via in due giorni nel settembre del ‘36 e sono pieno di ammirazione per loro. Le imprese dei nostri antenati alpinisti hanno un valore che forse non riesco a cogliere neanche ripetendole oggi.

Non ce lo siamo ancora detti, ma sappiamo già entrambi che non proseguiremo per la variante Messner. Seguiremo la variante di uscita Stenico, ben più sbrigativa, anche se su roccia instabile: è decisamente troppo tardi. Attraversiamo la cengia, passiamo sotto il chiodo di inizio della Messner, uno strapiombino di V+ che dà accesso alle stupende e assolate placche superiori, che guardiamo come una chimera. Procediamo invece di conserva nel canale di III dell’uscita classica fino ai tre tiri friabili in diedro-camino che portano quasi in vetta. Ormai la tecnica di camino l’ho più che ripassata e salgo sicuro e rapido, anche se l’ultimo tiro, una fessura gialla atletica e molto friabile di V+ mi impegna a fondo: benedico l’inventore dei friend e passo, mi risulta utile anche un vecchio cuneo di legno incastrato nel marcio chissà da chi. A questo punto ci mancano cento metri di II e III friabile che superiamo di conserva, solo dopo esserci guardati negli occhi promettendoci di andare su con calma senza fretta, visto che siamo stanchi e la vicinanza della vetta potrebbe giocare strani scherzi: stavolta la lampadina si è accesa regolarmente...

Arriviamo in cima: sono le otto di sera e ci godiamo il tramonto dal ghiacciaio sommitale. Giulio ritorna in sè, riprende a scattare foto, è visibilmente felice, come lo sono io d’altronde. Con calma ci portiamo alla funivia, dove un locale chiuso, ma privo di coperte, consente di ripararsi dal freddo. Nel frattempo notiamo le due cordate uscite dalla Don Quixote. E' tardi anche per loro, sono sul ghiacciaio sotto la funivia e risalgono lentamente. Per fortuna uno di loro ha i ramponi, riesce a salire e a fissare una corda sulla quale gli altri si tirano su. Le due graziose slovene arrivano alle 22.30, i loro ragazzi sono usciti dalla variante Messner alle 15 e sono già scesi: sono stati velocissimi e non è nella loro mentalità di aspettare le loro ragazze, che hanno dovuto arrangiarsi, anche se aiutate dai simpatici toscani.

Passiamo la notte al freddo tutti insieme, alcuni dormono, altri parlano del più e del meno. Ormai è fatta, domani la funivia arriva e ci porta giù.

Lorenzo